Zaïna 46
Zaïna46, di Laure Desmazières, è basato su un incontro fatto dall’autrice durante gli studi. Abdel, algerino, cinquant’anni, clandestino, è il factotum di un bar/hotel in un quartiere popolare di Parigi. Non può tornare in Algeria per vedere sua moglie, ma la chiama ogni giorno al telefono. Poi un giorno (siamo nel 2006), scopre l’esistenza di Skype. Grazie a Skype Abdel può “vedere” di nuovo sua moglie. Il film racconta le conseguenze -immaginate dall’autrice- di questo incontro virtuale: il desiderio rimosso di Abdel che riappare con violenza, la sua solitudine totale che lo investe senza anestesia. Zaïna46 è stato prodotto da Thomas Jaeger per Haïku films e finanziato dalla regione Nouvelle Aquitaine e da France 3. Le riprese si sono svolte nel 2017. Le scommesse dell’immagine e di regia erano numerose: il film si svolge solo in interni, nel 2006, i personaggi sono stranieri di orizzonti culturali diversi seppure francofoni, il computer è il fulcro della seconda metà del film, tramite una lunga scena di dialogo su Skype che è il climax drammatico della pellicola. Il lavoro sul quadro è essenziale nel film: la scelta tra fuoricampo e in, sia in termini narrativi che di psicologia dei personaggi, è un fattore importantissimo per la regia. Anche la questione del ratio d’immagine è stata dibattuta fin dall’inizio con Laure: gli schermi dei computer erano allora ancora in gran parte in 4: 3, e la scena chiave del corto è imperniata su un dialogo attraverso lo schermo di un computer.
Bisognava mostrare il dialogo su Skype a tutto campo oppure filmando lo schermo del pc con un personaggio di quinta? Quindi qual’era il giusto rapporto d’immagine? I ratio panoramici (1.85, 2.39) sono stati immediatamente scartati poiché incoerenti. Dopo aver scartato anche il 4: 3, troppo soffocante per un film girato solo in interni, e difficile per filmare con gli attori di quinta, abbiamo pensato al rapporto 1.55 (che è quello del full frame 24×36, il che ci sembrava coerente poiché l’immagine del film trae principalmente ispirazione dal lavoro di vari fotografi contemporanei), ma dopo averlo testato durante i sopralluoghi abbiamo optato per 1.66, un ratio d’immagine che troviamo in molti film europei degli anni settanta e ottanta, e che avevamo già scelto per il precedente cortometraggio di Laure, Noche Flamenca. Gli schermi e le soglie sono onnipresenti nel film e ricordano l’isolamento del protagonista: la saracinesca all’ingresso del bar,
che Abdel tira su all’inizio del film rivelando la presenza di Anna, cliente abituale del bar, giovane e inaccessibile; il passa-vivande tra la cucina e la sala del bar; il corridoio dell’hotel con le sue porte, ognuna delle quali racchiude una solitudine; il muro attraverso il quale Abdel ascolta, di notte, i gemiti, forse sognati o forse provenienti da un video porno, di una donna in preda all’orgasmo, e che la telecamera attraversa per rivelare l’oggetto del desiderio di Abdel: una carezza di sua moglie, il contatto della sua mano sulla pelle. La scena della chiamata Skype tra Abdel e Zaïna, che occupa un terzo del film, si poteva affrontare tecnicamente in diversi modi: dal vivo, con una vera connessione Internet, o con una rete interna? E tante domande sono sorte: quale interfaccia per il software (il film è ambientato nel 2006)? In che modo lasciare più libertà possibile agli attori, evitando al contempo scogli tecnici e errori di connessione? Dopo aver analizzato le varie opzioni, abbiamo optato per la più semplice: una chiamata in tempo reale su una vera interfaccia skype (lo scenografo, Pierre Moreau, era riuscito a installare una vecchia versione) su una rete Wi-Fi chiusa. Il lavoro sull’arredamento, trattandosi di un film girato esclusivamente in interni, era fondamentale. Peraltro la messa in scena di Laure usa moltissimo le scenografie per suggerire la natura delle relazioni tra i personaggi e determinare le loro interazioni.
Inizialmente abbiamo immaginato di ricreare l’hotel in teatro di posa, ma i vincoli di produzione ci hanno costretti a rinunciarvi. Con Laure, anche prima di trovare uno scenografo, abbiamo fatto sopralluoghi nel dipartimento della Seine Saint-Denis, (limitrofo di Parigi, è il più povero di Francia e quello con più stranieri) visitando hotel frequentati da lavoratori stranieri, molto simili a quelli del 20mo arrondissement di Parigi, oggi trasformato in caffè chic, dove lavorava il “vero” Abdel. Dopo aver finanziato il film, la regione Aquitaine ha imposto di girare nel dipartimento delle Landes, sull’Atlantico, a sud di Bordeaux. Si trattava dunque di trovare un bar/hotel parigino decrepito… in un dipartimento turistico vicino al mare. Il bar fu relativamente semplice da trovare, a Mont-de-Marsan, capoluogo del dipartimento, una cittadina di 10.000 abitanti. Era un bar vicino all’arena della Corrida, con un’architettura datata, che permetteva di ottenere facilmente uno spazio funzionale alle idee della messinscena (cucina che comunica con la sala per attraverso una porta con passa-vivande, grande sala che separa l’ingresso -con saracinesca- dal bancone, grandi finestre con tapparelle per gestire facilmente la penombra…).
Il contributo dello scenografo Pierre Moreau è stato sottile ma determinante: costruire una porta su cardini col passa-vivande che separasse la sala dalla cucina, rimpicciolire la sala nascondendo con un pannello l’accesso alla seconda sala del ristorante, occultare l’accesso alla terrazza con piante e tende, rimuovere tutte le decorazioni legate all’iconografia della Corrida (si tratta del bar davanti alla Plaza de Toros, la Corrida è molto popolare nella Francia sud-occidentale). Ma trovare un albergo simile a quello che immaginavamo era un altro paio di maniche. Dopo aver girato tutto il dipartimento, abbiamo infine trovato proprio a Mont-de-Marsan, accanto al bar, la scenografia perfetta: un piccolo hotel chiuso da dieci anni perché non più a norma. La configurazione delle scale e del corridoio, la carta da parati, persino la presenza dei lavandini nelle stanze, corrispondevano quasi perfettamente alle caratteristiche precise che Laure si era data. Bisognava naturalmente fare qualche piccolo cambiamento, mettere una patina per “invecchiare” e “sporcare”, per esempio, ma c’erano tutti gli elementi essenziali.
Il lavoro sulla luce, e più in particolare sul colore, è stato oggetto di lunga preparazione con Laure, iniziata molto prima dell’effettiva pre-lavorazione. Siamo partiti dall’opera di vari fotografi che hanno esplorato gli universi intimi e domestici legati a situazioni di disagio e sradicamento. Uno dei punti di partenza sono state due serie del fotografo hong-konghese/britannico Dinu Li, dei primi anni 2000: Secret shadows sui luoghi di vita dei lavoratori clandestini a Londra, e Press * and say hello sui cybercafé dove i lavoratori stranieri andavano fino a pochi anni fa a telefonare ai loro cari, vedendosi costretti a condividere la propria intimità con estranei.
L’approccio neutro, allo stesso tempo umano e dignitoso, la ricchezza estetica, cromatica, plastica, l’interesse per i materiali, la capacità di trasfigurare la banalità e lo squallore, tutte queste qualità presenti nelle fotografie di Dinu Li, ci hanno dato l’idea di dare un taglio poetico all’immagine del film, seppur restando all’interno di un realismo puntuale, quasi documentaristico, ma evitando un eccessivo naturalismo; l’idea era di allontanarsi da un’estetica diffusa in molto cinema francese che affronta temi sociali, il quale sembra adottare l’equazione “povertà = bruttezza”.
Il lavoro della fotografa francese Françoise Huguier sugli appartamenti condivisi in URSS, Kommunalka, ci ha profondamente influenzati: i vincoli che obbligano, ad esempio, gli abitanti di stendere il bucato in camera da letto, il sovraffollamento degli appartamenti moscoviti, la luce aspra delle lampadine nude, la tavolozza cromatica delle pareti decrepite; il fatto che gli abitanti, anche in situazioni di estrema povertà, decorano le loro case come possono per costruirsi un mondo intimo e piacevole per quanto possibile.
Per quanto riguarda la luce o meglio le fonti di luce, si trattava di una questione importantissima per un film che si svolge al 100% in interni e al 70% di notte. La presenza, centrale nel film, dei computer ci ha dato un elemento decisivo per trovare una direzione estetica: la luce fredda degli schermi dei computer sarebbe stata portata inevitabilmente a mescolarsi con le fonti tungsteno, più calde; perché non accettare questo “miscuglio” e anzi usarlo per arricchire la tavolozza? Ispirandoci al lavoro del grande direttore della fotografia olandese/tedesco Robby Müller, in particolare su L’Amico americano di Wim Wenders e Barfly di Barbet Schroeder, abbiamo deciso di mescolare fonti di luce molto eterogenee, ottenendo una gamma di colori che rispecchiasse le diverse sfumature emotive di Abdel, creando atmosfere luminose credibili.
Più in generale, abbiamo tracciato una sorta di percorso della luce attraverso il film, in cui la scenografia del bar ritorna più volte, ma sempre con luci e atmosfere cromatiche molto diverse: per l’inizio del film, fin dalla fase della sceneggiatura, Laure immaginava un’atmosfera oscura, dove avremmo scoperto il volto di Abdel quasi alla fine della sequenza. Una foto del belga Harry Gruyaert ci ha dato l’idea per l’inizio del film: nella foto si vede l’interno di un bar con la sagoma di un uomo, le cui uniche parti del corpo visibili sono quelle illuminate da una luce solare radente e contrastatissima; anziché sull’ombra, l’esposizione è fatta sulle parti dell’immagine illuminate, con un risultato sorprendente. Una scena banale si riempie così di mistero grazie alla scelta tecnica di Gruyaert.
In Zaïna46, abbiamo aggiunto alla direzione di luce contrastatissima il tema formale della miscela di sorgenti luminose: il bancone è illuminato con lampadine tungsteno, non corrette, il cui colore giallo si fonde con la luce solare fredda del mattino. A metà del film, si torna al bar, in un’atmosfera più luminosa. È una mattina d’estate, calda e afosa. E per la scena finale, quando Abdel si trova faccia a faccia con Anna e col proprio desiderio disperato, la sala vuota è immersa in una luce lattea, dominata dal ciano. Per tutte le sequenze del bar, abbiamo usato ampiamente la macchina del fumo, per materializzare la luce e creare un’immagine “datata” seppur in modo sottile: le qualità dei neri, né profondi né neutri, combinati con un affermato cromatismo (giallo/arancione e ciano) si ispira al lavoro di Vittorio Storaro e Stephen Goldblatt (in particolare di quest’ultimo in The hunger di Tony Scott) tra la fine degli anni settanta e la metà degli anni ottanta.
Zaïna46 è stato girato con un’Arri Alexa plus. Il workflow in ProRes444 2K ci è sembrato il miglior compromesso tra l’economia relativamente modesta del film, la parte di budget destinata alla postproduzione, e la qualità di Arri. Laure ama molto i movimenti di zoom, che sottolineano i momenti di introspezione ed emozione dei suoi personaggi. Avevamo già usato lo zoom nel suo cortometraggio precedente, Noche Flamenca. Ho scelto uno zoom Fujinon Alura 19/90 T2.9, un’ottica di ultima generazione che ha il vantaggio di avere il macro e di essere molto compatta e leggera, caratteristiche utilissime per girare nella stanza di 10m2 di Abdel. Tutto film è filtrato con dei Warm black diffusion e con dei Mitchell per i primi piani.
Zaïna46
Un film di Laure Desmazières
Francia, 2018, colore, 22’
Con Djemel Barek, Foëd Amara, Baya Belal, Julia Perazzini, Djiby e Mariama Bah
Sceneggiatura di Laure Desmazières, Marion Dessaigne-Ravel, Anaïs Carpita
Région Aquitaine, Département des Landes, Aide à la réécriture et fonds de soutien audiovisuel du CNC, Fonds Images de la diversité, Préachat France 3
Produttori Thomas Jaeger, Antoine Delahousse
Suono Anne Dupouy
Produttore esecutivo Vincent Roullet
Montaggio del suono Charlotte Butrak
Scenografia Pierre Moreau
Costumi Sophie Porteu
Mixaggio Niels Barletta
Aiuto regista Camille Pinaudeau
Direttore della fotografia Michele Gurrieri
Assistenti operatori Michaël Capron, Lorraine Delgado
Elettricista Samuel Noriega
Macchinista Valentina Iorio
Montatrice Clémence Carré
Segretario di edizione Pierre Cazeaux
Musica Grégoire Letouvet
Truccatrice Myriam Poulet
Color correction Brice Pancot
Lavorazione di Zaïna46, aprile 2017
Premio della critica al Festival du Film court en Plein de Grenoble 2018, Miglior sceneggiatura al Festival Court en scène 2018, miglior attore al Festival International du Court Métrage de Lille 2019
Selezionato a Clermont-Ferrand 2019, Premiers Plans d’Angers 2019, Saint-Paul-Trois-Châteaux Film Festival 2018, Festival Un poing c’est court di Vaulx-en-Velin 2019, Festival Chacun son court 2019 (Strasburgo) e Festival Films Femmes Méditerranée 2019.